Ci piace pensare ai bambini come creature innocenti e, almeno fino a un certo punto del loro sviluppo, non riescono a mentire o, se lo fanno, lo fanno male, regalandoci momenti di tenerezza e ilarità.
Qualche giorno fa ho acquistato un Pipolo, un gioco di Djeco che ha come regola quella di mentire. Com’è composto?
E’ un mazzo di carte, ognuna delle quali rappresenta un animale con una caratteristica (peloso, con il cappello, con le piume, nudo…). Ogni giocatore ha in mano 11 carte che tiene coperte, come a briscola o a scala 40. Il primo a giocare scopre una carta, dichiarando la caratteristica dell’animale rappresentato, per esempio: “Ha il cappello”. Tutte le altre carte dovranno essere scartate COPERTE e ciascun giocatore, dichiarando la caratteristica dell’animale che ha appena scartato, si riserverà il diritto di dire una bugia o la verità. Se l’avversario intuirà una bugia, dovrà gridare “Pipolo!” e voltare la carta: se sbaglierà, dovrà prendere tutte le carte del mazzo, se avrà effettivamente scoperto una bugia il mazzo andrà a chi ha mentito, perché è stato scoperto. Lo scopo del gioco è sbarazzarsi delle carte il prima possibile.
Non è stato semplicissimo da insegnare a mio figlio, ma ci siamo divertiti tanto. Ovviamente, in un contesto in cui è lecito mentire, diventa lecito anche barare e inventare scuse 😀 Ma come mai un’azienda così seria, attenta allo sviluppo delle abilità cognitive dei bambini attraverso il gioco in scatola, che di per sè facilita la vita di gruppo e il rispetto delle regole, decide di metterne sul mercato uno che incoraggia la bugia e come mai una psicologa, che in teoria dovrebbe scoraggiare le bugie, lo ha comprato senza indugi? La risposta può sembrare banale, ma non lo è affatto. E come mai a 5 anni non è semplice insegnare a un bambino a mentire? E come mai il nome del gioco è così buffo che mio figlio lo vuole gridare sempre (anche questa scelta non è per niente banale!)?
Uno dei percorsi più complicati nello sviluppo dei bambini è quello di comprendere che ciò che loro vedono non può essere commentato dagli altri se non stanno osservando la stessa cosa, ovvero che la loro mente è distinta da quella degli altri. Questo problema si pone a partire dagli otto mesi, ma diventa particolarmente urgente intorno ai due anni. Non tanto perchè prima non esista il linguaggio nella mente dei bambini, quanto perchè il linguaggio parlato ha uno sviluppo esponenziale a quell’età e diventa ripetitivo, urgente e tremendamente rumoroso, specie a fine giornata. In linguaggio colloquiale si chiamano “terrible two”: i bambini cominciano a porre ripetitivamente le stesse domande e sembra che le risposte non siano mai veramente soddisfacenti, perchè semplicemente i bambini continuano a porle. Questo problema diventa particolarmente evidente in auto: il genitore seduto davanti a sinistra, il bambino seduto sul seggiolino posteriore a destra, indica qualcosa e chiede ripetutamente “e quello cos’è?” esigendo una risposta. E’ una posizione a perdere: o si guarda la strada e si perde l’udito o ci si volta per condividere l’attenzione verso lo stesso oggetto e si risponde, ma non è una buona idea.
Per lo più i bambini crescono e verso i quattro anni cominciano a capire che se non sei testimone di un fatto, non puoi conoscerlo, il che ha come presupposto l’idea di cui si parlava sopra. Tuttavia questo passaggio non è semplicissimo nè indolore, benchè necessario: da una parte come genitori, dobbiamo accettare che i nostri figli prima o poi utilizzeranno a proprio vantaggio il fatto che non veniamo a conoscenza di ciò che non vediamo, ma fortunatamente non sono abili bugiardi a 5 anni e mezzo. Conoscono le regole e sanno che la simulazione è un’infrazione del vivere comune, quindi o ridono, o si smascherano da soli, chiedendo all’adulto di chiudere gli occhi proprio apposta per fare qualcosa di nascosto. Soprattutto, sono apprendisti della simulazione, quindi fanno tentativi di inganno e vedono a quali condizioni ci caschiamo.
Ma veniamo a Pipolo: ogni attività che stimoli nei bambini la capacità di comprendere che nella mente dell’altro può esserci una storia diversa da quella che hanno in mente loro, li aiuta ad acquisire una capacità fondamentale per costruire una qualità non sempre facile da acquisire, quella di comprendere che i pensieri sono una caratteristica della mente che li pensa e non della realtà. Per i bambini di 5 anni e mezzo è grottesco e buffo (come era buffo il bubù settete a 15 mesi) pensare che la mamma possa dire una cosa e averne in mente un’altra o che loro stessi possano decidere per gioco se conviene mentire o meno. Certo, ci sono degli svantaggi. Ma il vantaggio è che nel costruirsi un’idea di relativismo del pensiero, possono cominciare a fantasticare sulla mente altrui, immaginare punti di vista mai vissuti, riconoscere che esistono altri, umani e quindi simili, che hanno però menti e pensieri diversi, magari con pari dignità. Perchè scegliere un nome buffo come Pipolo? Ma perchè fa ridere gridarlo e quindi i bambini lo ripetono in continuazione, verificando sempre la versione di chi gioca con loro. Se si fa ora di cena, come mi ha consigliato la mia amica giocattolaia, “Mamma, menti sempre”.
Una nota a margine: le persone non rispettano le regole solo perchè ignorano di poterle infrangere. Le rispettano all’interno di un sistema di relazioni che intendono conservare e proteggere. Un bimbo sa benissimo cosa sia giusto e cosa sia sbagliato e quando non rispetta le regole ci dice qualcosa sulle relazioni che ha intorno, non su quello che gli abbiamo insegnato 🙂