Rassegna stampa – Italia di Metallo


Articolo originale su Italia di Metallo – by Vexime

Questa dei G.A.S. (Gruppo Autonomo Suonatori) è una bella sorpresa, infatti non avrei mai pensato di ascoltare un album uscito nel 2021 che suona come fosse stato realizzato negli anni 70.

L’album che mi accingo a descrivervi sembra un messaggio raccolto da una bottiglia gettata nel mare anni or sono e raccolto da una donna che si gode il sole in spiaggia.

Il rock progressivo dei GAS ha un non so che di malinconico e nostalgico, ma anche delle scintille di epica vitalità che grazie ai synth prendono vita sopra la struttura dei brani.

Nostalgia dicevo, di un mondo di grandi artisti vissuti in un periodo bellissimo, quasi epico, dove la ricerca di libertà di espressione era la base per vivere il mondo e la musica ovviamente.

Come non possono venire in mente i Camel per esempio o i Jethro Tull, Branduardi o gli Emerson Lake and Palmer, la Premiata Forneria Marconi come i Banco del Mutuo Soccorso.

Così ci immergiamo all’interno di una musica raffinata ed espressiva che culla le nostre orecchie e fa viaggiare la mente verso mondi immaginari e magnifici.

Come da tradizione italica comunque la tecnica e i vari intrecci non sono fini a se stessi, ma al servizio delle canzoni per uno sviluppo mai stucchevole o eccessivamente barocco.

Alice Springs‘ inizia con una brevissima introduzione che ricorda il desert rock psichedelico, ma immediatamente dopo entra la chitarra di Simone Galleni accompagnata dall’organo percussivo di Thomas Cozzani ed il sax di Andrea Imparato, è subito prog rock con qualche influenza alla Weather Report tanto per dare una summa di quello che è l’album. Il brano, strumentale, è solo un antipasto del sound della band.

La prima vera canzone è la traccia numero 2, ‘La Regina‘. Si apre con un inizio di pianoforte melodico e malinconico, poi la chitarra ritmica accompagna le percussioni dal sapore etnico-tribale ed ancora i synth col suono prog, quello square che ognuno di noi ha ben stampato in mente. Il ritorno del pianoforte al quinto minuto è un tocco di classe, le note sognanti accompagnano l’ascoltatore verso il finale dove rientra la chitarra e dopo tutti gli strumenti per il finale.

Preludio I‘ è una ballata barocca dove strumenti a corda e flauti conversano allegramente tra loro.

Preludio II’ ha invece un suono molto moderno, un lungo arpeggio di chitarra ci riporta nel presente, i synth sembrano sussurrare, sono i fantasmi  del passato che danzano eterei e leggeri.

Con ‘Il Sacco di Bisanzio’ si torna negli anni 70, synth e batteria la fanno da padroni, la voce di Claudio Barone mi ricorda tantissimo Gaetano Curreri degli Stadio.

Beatrice‘ è il brano più lungo dell’album e forse il più complesso, l’inizio è un bellissimo dialogo tra mandolino e batteria dal sapore mediorientale, tra l’altro è bravissimo Valter Bono (batteria) che con i suoi ritmi cangianti e mai banali riesce ad impreziosire tutti brani, forse il migliore della band, sicuramente quello che mi ha impressionato di più.

La parte cantata è una delicata ballata dedicata alla figura di Beatrice che va sfumando per dare spazio ad una parte che mi ricorda i Biglietto per  L’inferno (uno dei miei gruppi preferiti di sempre), ma non dura molto.

Effettivamente la transizione tra una parte e l’altra nelle canzoni è abbastanza netta, nel senso che ci sono degli stop, alcuni sfumati ed alcuni meno, e forse questo è uno dei pochi limiti della band, non c’è un concatenamento progressivo e continuo, ma spesso fanno un uso eccessivo delle pause, questo rende sicuramente i brani più semplici ed ascoltabili.

In ogni caso non è da tutti comporre un album del genere, con tutte queste varianti e variazioni.

Il Richiamo della Sirena‘ è anch’esso diviso nettamente tra ritmiche serrate e zone musicali di calma un po’ più psichedeliche.

Con ‘Omnia Sunt Communia‘ si raccolgono a piene mani i frutti di una psichedelia che ha avuto in Jacula un esponente italiano di immenso valore, ma i G.A.S. non si fermano mica qua e continuano (nello stesso brano) a riproporre temi e fraseggi che riportano in mente i Museo Rosenbach (altri giganti del prog italiano) un po’ jazzati però. Il finale di organo è davvero epico e pieno, da un senso di sacralità unico.

Bene anch’io sono arrivato al termine di questa recensione e posso dire di aver fatto una vera immersione in questo genere bellissimo, cosa che non mi succedeva da tempo, perché i G.A.S. effettivamente hanno riportato il rock progressivo italiano, facendomi ricordare quanto è bello immaginare.

La storia della musica prog concentrata in un album? Forse no, ma ci si avvicina. I G.A.S. non brillano per originalità, cosa difficilissima per un genere vecchio di 50 anni, però pur non essendo estremamente innovativi hanno fatto un album piacevolissimo che si assapora come il vino buono, quello invecchiato ad hoc per essere bevuto nei giorni speciali.


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